lunedì 30 settembre 2013

Eliminare la violenza sulle donne. Il Decreto legge 93 non è sufficiente

Lo scorso 26 settembre ancora un’estrema violenza nei confronti di una donna, questa volta in provincia di Piacenza. A Castelvetro Piacentino Cinzia Agnoletti muore in casa, uccisa dal compagno.
Le parole che risuonano sono sempre le stesse: ennesima lite, raptus, dramma.
Tutto disperatamente vero, ormai un’amara consuetudine.
Il nostro bel paese nei primi sei mesi del 2013 conta già 81 donne vittime di omicidio secondo i dati raccolti esclusivamente dalla stampa, poiché non esiste un sistema efficace e uniforme per raccoglierli ufficialmente. Così come non abbiamo un reale progetto politico contro la violenza di genere.
Quello che poteva essere un piccolo passo in avanti a tal proposito era il decreto legge n.93 del 14 agosto 2013 con disposizioni in materia di violenza contro le donne, che doveva approdare alla Camera dei deputati proprio il 26 settembre. La votazione però è stata posticipata al 2 ottobre a causa dei 414 emendamenti presentati alle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, che dovranno quindi esaminarli.

Se si legge, anche solo velocemente, il testo del decreto (http://www.gazzettaufficiale.it/) si capisce perché piovono critiche. È subito evidente la disorganicità del testo e si nota la mancanza di considerazione e di partecipazione delle associazioni e di tutte le realtà che ogni giorno affiancano le donne nella lotta contro la violenza. Emerge la centralità delle misure punitive, una fra tutte l’obbligo d’arresto in flagranza di reato per maltrattamenti domestici e per stalking. Questa linea molto repressiva, come si legge nel testo “per finalità dissuasive”, non ha però molta efficacia nei reati di genere e non risponde alla necessità più grande di prevenzione della violenza sulle donne.
I primi quattro articoli del testo apportano indubbiamente importanti modifiche sul piano penale e processuale, che secondo il forum delle donne giuriste con opportune integrazioni possono rappresentare strumenti utili nella difesa delle donne. S’introducono per esempio aggravanti di pena per i reati di maltrattamento, violenza sessuale e stalking se commessi sulla donna in gravidanza, legata e/o stata legata al colpevole da relazione affettiva e se compiuti su/o in presenza di minori. E’ prevista la rilevanza penale per atti persecutori attuati attraverso strumenti informatici o telematici. Le notifiche di tutto il percorso giudiziario raggiungono anche la vittima. Peccato però che all’articolo 5 si legga che l’attuazione delle disposizioni avverrà “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Come si può predisporre un piano d’urgenza senza alcuna risorsa finanziaria?
A causa della confusione con cui è stato redatto, il decreto rischia così di non arrivare mai alla conversione in legge, che deve avvenire entro il 15 ottobre. Eppure bastava semplicemente seguire le indicazioni in materia di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne che si trovano nella Convenzione di Istanbul (approvata dall’Italia nel maggio 2013).
Quello che si vuole far passare per via mediatica come un’emergenza improvvisa è in realtà un radicamento culturale della discriminazione, sotto tutte le forme, della donna in quanto donna. Ciò che serve immediatamente è una politica coordinata tra istituzioni e società civile, che miri all’eliminazione definitiva dei pregiudizi e degli stereotipi culturali, che producono poi i più violenti maltrattamenti sulle donne.
Federica Fiorilli

In fondo al mar!


Time to go...to bed


Angelus


Dahab, la città dell'oro




domenica 29 settembre 2013

Il viaggio della Gnocca

Dai villaggi africani ai marciapiedi europei

 

Digitando su motore di ricerca la parola prostitute, al terzo posto subito dopo Wikipedia, si trova questo sito: www.gnoccatravels.com . Una comunità di soli “uomini” dove scambiarsi consigli utili su come procurare gnocca gratuitamente o a pagamento attraverso tutti i continenti: la community dei viaggi della gnocca.
Vorrei raccontare loro un viaggio, quello della gnocca che parte dalla Nigeria, risalendo Niger e Libia; un viaggio fatto in camion, furgoni, container ma anche a piedi, fino alle coste del Mediterraneo per finire sui marciapiedi europei. Qui la gnocca potrà rispondere finalmente all’unica domanda (dieci, cento, mille volte la stessa) che interessa al tizio dentro l’auto col finestrino abbassato: <<Quanto?>>.
Nigeria: tra colline e altipiani, pianure aride e distese sconfinate sorgono dei piccoli villaggi dove spesso una donna sogna solo di poter fuggire dalla povertà piuttosto che dalle violenze, dalle minacce o dalle modificazioni genitali. A volte giunge al villaggio una figura, le/i trafficanti, che offre loro una via di fuga: L’ Europa.
A volte gli stessi parenti, compagni o fidanzati intercedono con la maman o madame (nigeriane che vivono stabilmente in Nigeria o che viaggiano dall’ Europa in aereo grazie a un regolare permesso di soggiorno) che spesso si occupa di scegliere personalmente le donne da portare in Europa. Compito della madame è quello di curarsi delle ragazze per tutto il percorso del viaggio e di controllarle poi giunte a destinazione. Paga loro il viaggio, le imbonisce con falsi credo sul loro futuro, fa giurare loro che l’impegno preso verrà rispettato mediante voodoo (il terrore che le donne nigeriane hanno nei confronti del voodoo è uno strumento di controllo fortissimo), pena la morte, quindi le consegna ad un uomo chiamato brother (un trafficante nigeriano che si prenderà “cura” delle ragazze conquistandosi la loro fiducia), che le condurrà di frontiera in frontiera fino in Libia.
Warri, Benin City, Sapele, rappresentano di solito la prima tappa e i punti di raccolta delle inconsapevoli viaggiatrici che arrivano dai villaggi. Si prosegue a volte verso il nord in autobus, per Kano o Sokoto (Nigeria del Nord), oppure si passa dal Benin. Non c’è un itinerario preciso, il viaggio può variare di chilometri e di tempo. Di tappa in tappa le donne vengono alloggiate in case di transito, dette warehouse, per periodi brevi o anche per mesi.
Gli smugglers (autisti) alla guida di camion o furgoni, trasportano centinaia di migranti di diversa nazionalità per il viaggio che procede verso Agadez o Dirkou (Niger) fino alla frontiera libica e quindi Sabha(Libia). Da questo istante le ragazze viaggeranno con altri migranti che intendono arrivare in Europa illegalmente. Stipati come merce, ammassati dentro i mezzi si viaggia senza acqua né cibo, senza poter mai dormire. Avvengono violenze di ogni sorta e stupri; altre/i si ammalano, svengono o addirittura muoiono. Chi non ce la fa viene abbandonato nel deserto. Lungo la strada è una distesa di ossa e tombe.
Nel deserto avvengono saccheggi e razzie sia da parte di militari sia da parte dei ribelli, è il tratto di viaggio più duro e traumatico. Le/i migranti vengono picchiate/i, ridotte/i in schiavitù, umiliate/i, derubate/i. Non c’è niente tutto intorno, solo deserto.
Tumu (Libia): è la frontiera con il Niger dove poche procedono oltre. Capita anche che le ragazze vengano arrestate per clandestinità e rilasciate solo sotto pagamento di somme di denaro, per essere poi rimesse nelle mani dei trafficanti. Nelle fatiscenti carceri sono in tante le donne tenute in anguste stanze sbarrate, sorvegliate costantemente. Non di rado avvengono stupri e violenze all’interno di questi luoghi di punizione.
Il viaggio termina a Tripoli, dove i trafficanti rivelano le loro vere intenzioni e le ragazze aprono gli occhi al loro destino: i bordelli. Una donna può essere sfruttata per un tempo che varia da qualche mese fino a 5 anni o comunque fino alla restituzione del debito contratto che copre le spese del viaggio o per il tempo necessario all’organizzazione della tratta successiva che le porterà nelle coste del Mediterraneo, oppure fino a che la madame non salderà il debito con i trafficanti. Lei non vuole e non ha interesse a far prostituire le ragazze in Libia, bensì a farle giungere al più presto in Europa. Dunque questo sfruttamento avviene per mano dei trafficanti nigeriani e libici, di nascosto alla madame, che se messa al corrente dell’accaduto smetterebbe di pagare per la ragazza. In questa circostanza alla ragazza non rimane che continuare a racimolare soldi, prostituendosi, per il viaggio che d’ora in poi si pagherà sola.
All’interno dei bordelli libici c’è la senior woman che si occupa di accogliere e introdurre alla prostituzione le nuove arrivate e controllare i profitti di ognuna di esse. Sono costrette ad avere dai 3 ai 5 rapporti al giorno, spesso non protetti, ad una cifra che il trafficante stesso stabilisce. Chi tenta di rifiutarsi viene umiliata, picchiata e torturata: vengono fatte camminare sul petrolio bollente, mozziconi di sigarette vengono spente su tutto il corpo, vengono frustate con catene.
L’uso del preservativo è a discrezione del cliente. Spesso restano incinte e vengono fatte abortire con calci allo stomaco e medicine. A volte le ragazze prima di ogni rapporto inseriscono della lana nella vagina, che trovano all’interno dei loro materassi, come contraccettivo.
I bordelli sono delle fortezze di sbarre e filo spinato, controllate e sorvegliate. Poche riescono a fuggire, la maggior parte viene ricatturata e quasi uccisa a botte.
Poi c’è il benefattore, cliente delle ragazze, che paga per estinguere il debito e le aiuta nel viaggio verso l’Europa. Le ragazze si sentono debitrici nei confronti di questa figura, in realtà il benefattore risulta essere un membro dell’organizzazione criminale che a volte le affianca anche durante l’attraversata in mare o procura loro documenti falsi per il viaggio.
Lampedusa (Italia): gli sbarchi nell’isola sono ormai all'ordine del giorno. Donne e uomini che arrivano su barconi stipati e traboccanti. Quante di quelle donne saranno prostituite? Quante di loro rivedremo sui marciapiedi? Quante di loro verranno rimpatriate e ricominceranno il viaggio?
Adesso chiedo io a voi “uomini” del GnoccaTravels : << Quanto?>>.
Giada Licata

Mind the gap: quel gradino fra uomini e donne

La disparità tra uomo e donna si vede ancora e questa volta è “in busta paga”. Pay gap è il nome della differenza retributiva fra professionisti di sesso diverso. Le lavoratrici, a parità di produttività e preparazione, hanno stipendi più bassi degli uomini. Questo il risultato del rapporto su "Il gap salariale nella transizione tra scuola e lavoro", presentato alla XIV Conferenza Europea della Fondazione Rodolfo De Benedetti. Incentrato sul problema della discriminazione nel mercato del lavoro, l’evento ha rivelato che la disparità salariale produce una diminuzione del 37 percento dei compensi delle collaboratrici rispetto ai colleghi maschi.

Insomma, le donne ne hanno fatta di strada dagli anni del "pane nero" eppure le differenze permangono. Lo studio della Fondazione ci spiega anche perché. La ragione si trova a monte, al momento di effettuare le proprie scelte professionali. La novità della ricerca, infatti, sta nell’evidenziare che spesso tale dislivello è una conseguenza delle scelte delle donne stesse, che preferiscono facoltà meno “redditizie”.

L'analisi si è concentrata sui diplomati tra il 1985 e il 2005 di 13 licei classici e scientifici di Milano che hanno poi proseguito gli studi nelle cinque università cittadine. Sono tutti profili brillanti, già ben inseriti nel mondo del lavoro, autonomi nella vita come nel reddito. La realtà che emerge dallo studio è che le ragazze spesso tendono a scartare le facoltà legate a lavori a più alto reddito, come Medicina, Ingegneria, Economia e Matematica. Fatta eccezione per Medicina, dove le quote femminili e maschili si equivalgono, i percorsi di studio che portano a carriere più remunerative sono stati scelti dal 65 per cento dei ragazzi e solo dal 20 per cento delle loro compagne. Se invece focalizziamo l’analisi su indirizzi come Scienze dell'educazione, Scienze umanistiche, Architettura e Design, i risultati si capovolgono.

Secondo la ricerca dietro queste scelte troviamo donne meno competitive degli uomini e poco interessate alla selezione di un lavoro ben pagato a tutti i costi. Il nodo centrale della questione, secondo il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, resta la mancanza di infrastrutture che aiutino a conciliare la carriera con le responsabilità familiari.

Il tema del pay gap è una discriminazione diffusa in tutto il Vecchio Continente. Per questo il Parlamento europeo ha approvato di recente un testo che spinge la Commissione a combattere tale disparità. L’esecutivo comunitario intende ritoccare la direttiva dell'Unione europea (Ue 2006/54/CE) che si occupa di garantire il pari trattamento tra uomini e donne sul luogo di lavoro, senza tralasciare la busta paga. Sebbene la strada sia ancora in salita, secondo la risoluzione approvata a Strasburgo la riduzione delle disparità di genere porterà benefici alla società anche in termini economici.

Marica Servolini


S'oggetto



di Giada Licata

Le aziende sui social network: caccia al profilo aggiornato

Nell’era del web 2.0 anche la domanda e l’offerta di lavoro si incontrano sui social network, ma otto manager su dieci non si fidano dei dettagli pubblicati. In un recente sondaggio realizzato dalle maggiori società di recruitment sono stati coinvolti i direttori finanziari di grandi aziende italiane e straniere. Interrogati sui nuovi media quali strumenti per veicolare le candidature, spesso i manager trovano il web ricco di competenze poco aggiornate o esagerate e difficilmente verificabili.


Fra i mezzi più utilizzati LinkedIn resiste in vetta alle classifiche.  Alla vigilia dei suoi dieci anni di attività,  la rete ha i suoi vantaggi perché amplifica il bacino di candidati disponibili. Ma la verifica dei curricula non è sempre agevole. Il crogiolo di avatar a portata di “clic”, infatti, non è sempre sinonimo di qualità professionale, perché dietro lo schermo del computer anche il professionista più risoluto avrà azzardato l’ipotesi di imbellettare il suo profilo. Nonostante gli innegabili vantaggi della rete, i manager non sono di facili entusiasmi, perché  di fatto non hanno un sistema che permetta di verificare le informazioni che leggono. Questo è quanto ha dichiarato il 61 % degli intervistati, mentre gli altri si dividono fra  chi denota la mancanza di aggiornamenti puntuali delle attività e chi sospetta che si “ricami” un pò troppo sulle proprie competenze. 

Internet costituisce una vera e propria cassa di risonanza  che amplifica i rapporti sociali. I social network, in particolare, facilitano il flusso d’informazioni e la possibilità di contattare persone molto distanti fra loro, come i responsabili dei servizi nelle aziende. Relazionarsi online significa anche entrare in contatto con figure utili alla propria crescita professionale in un ambiente in cui la comunicazione è immediata e veloce. In particolare, LinkedIn è considerato un mezzo imbattibile per valorizzare le proprie abilità e mantenere aggiornato il network di relazioni. Fra gli aspetti decisivi per giudicare un profilo sul portale, i recruiter prediligono l’esperienza, che supera anche il percorso di studi e la conferma delle competenze da parte dei colleghi. Dunque, il segreto per rendere appetibile la vostra pagina professionale sarà un costante lavoro sui dettagli per aggiornare le vostre esperienze affinché gli headhunter delle maggiori aziende abbiano pane per i loro denti.   

Marica Servolini

Press the unpressable... non chiamatelo "fai da te"!



Marica Servolini

Perché mai andare a Messa?!

Siamo nel terzo millennio e ci sono ancora persone che vanno a Messa?! Un’oretta obbligatoria tutte le domeniche, un insieme di formule, storielle e gesti alle volte davvero incomprensibili… fanno bene quelli che decidono di occupare il tempo in maniera diversa!

Eppure, ancora oggi, quelle stesse persone sono disposte a rinunciare ad una esistenza fatta di sole cose, a lasciare la propria casa e gli affetti più cari, a dare la vita perfino per testimoniare l’amore gratuito di Dio! Uomini e donne coraggiose che hanno deciso di andare controcorrente, di riempire la solitudine dell’animo, quel senso di vuoto profondo non con il successo personale, con l’affermazione del proprio io sul prossimo, con il denaro o altro ma semplicemente affidandosi. Persone che hanno sperimentato nella loro vita l’incontro con Cristo, che non possono fare a meno di condividere ed annunciare questa gioia e che trovano nutrimento e fondamento della loro fede proprio nell’Eucaristia.

Ed è qui che nasce il problema: chi capisce veramente quello che si sta facendo e dicendo durante la celebrazione? Io per prima non nascondo le mie perplessità. Pur essendo battezzata e cresimata e frequentando attivamente la parrocchia avverto l’esigenza di saperne di più. Molto spesso il catechismo non basta, perché si è molto giovani e poco consapevoli e perché talvolta ci si va, più adulti, più per assecondare una tradizione che per una reale convinzione. Una difficoltà comune, ben nota a don Ricardo Reyes, alla quale ha voluto dare una risposta con il libro Lettere tra cielo e terra (edito da Cantagalli). Non un trattato di teologia ma dodici lettere che, attraverso brani dell’Antico e del Nuovo Testamento ed episodi personali, provano a spiegare, con un linguaggio semplice ma preciso, perché, per essere cristiani, è necessario andare a Messa. Un viaggio alla scoperta del significato profondo di quei gesti, di quelle parole che molto spesso presumiamo di sapere senza in realtà conoscere, della bellezza dell’entrare in relazione con Dio. Un tentativo di fornire gli strumenti per vivere appieno la celebrazione eucaristica e di riunire quella spaccatura tra vita quotidiana e fede.

Il sacerdote panamense scrive all’amico ‘cattolico non praticante’ ma si rivolge a credenti e non “L’intento fondamentale è che tu possa sperimentare, per mezzo di una conoscenza più profonda della Chiesa e delle celebrazioni liturgiche, se c’è una risposta reale alle tue istanze di ricerca esistenziale” per poi proseguire con “Io non ti devo convincere di niente. È il Signore che ti deve toccare il cuore e portarti a scoprire la Sua bellezza”.

Sta a noi, dunque, la libertà di cercare la risposta alle nostre inquietudini, di aprirci all’ascolto e fare silenzio, di farci piccoli, di lasciarci guidare e stupire. La lettura di questo testo sarà forse per alcuni appagamento di un interesse filosofico culturale, per altri un aiuto prezioso e una spinta alla ricerca continua di Dio nella propria vita, come lo è stato per me. “Il cristianesimo è e rimane un’esperienza di vita, o la fai o non la fai. Se non entri nel mare non potrai mai sentire la forza delle onde”.

Monsanto. What else?


Un nome, una rassicurazione. Ad oggi multinazionale americana di biotecnologie agrarie. Fin qui tutto bene. Quello che la maggior parte delle persone non sa è che è una produttrice di sementi transgeniche.
Un po’ di storia.

Famosa all’inizio del ‘900 per essere la maggiore fornitrice di saccarina (prodotto che, secondo 70 diversi studi scientifici, provoca il cancro nei ratti e nei mammiferi), vanillina e caffeina alla Coca Cola. Solo qualche anno più tardi espande oltreoceano il suo impero producendo nientemeno che aspirina e addirittura gomma nei suoi stabilimenti in Galles.

Nei ruggenti anni ’20 inizia a produrre acido solforico, fibre sintetiche e policlorobifenili (PCB), liquidi refrigeranti per trasformatori elettrici. 50 anni più tardi gli Stati Uniti ne vietano la produzione, attribuendo al prodotto il potere nefasto di provocare cancro, malattie del fegato e malattie neurologiche.

Morale della favola, la Monsanto paga i danni risarcendo 600 milioni di dollari agli abitanti di Anniston (Alabama), sede della produzione.
Nel 1941 la Monsanto ha la brillante idea di cominciare a produrre plastica e polistirolo sintetico per imballare gli alimenti. Produzione ancora in corso, nonostante sia classificato quest’ultimo come uno dei cinque prodotti più inquinanti di sempre.

Tra il ’43 e il ’45 si dedicò alla purificazione e produzione di plutonio ed inneschi per armi nucleari.

Nel frattempo, nel 1944 comincia a produrre il DDT, prodotto che uccide le zanzare portatrici di malaria e il più usato come insetticida in agricoltura. Come è noto il DDT provoca, tra le altre cose infertilità e mortalità neonatale. Produzione vietata negli stati uniti dal 1972.

Nel 1945 promuove caldamente l’uso di pesticidi chimici in agricoltura contenenti diossina, elemento che entra con facilità nella catena alimentare depositandosi nel tessuto adiposo degli animali da allevamento. Essa causa problemi al sistema immunitario, di riproduzione e sviluppo.

Negli anni ’60 è protagonista di un atro disastro ambientale ed epocale, comincia a produrre l’Agente Orange, nota arma chimica ampiamente utilizzata nella guerra del Vietnam. Le conseguenze furono disastrose, 400 mila persone uccise e mutilate, 500 mila bambini con difetti alla nascita, 1 milione di persone diversamente abili.
Nello stesso periodo produce fertilizzanti a base di petrolio, dopo aver acquistato una raffineria, con conseguenze devastanti per la terra, che risulta, a distanza di anni, impoverita e non più fertile.
Nel 1965, acquistando la multinazionale farmaceutica GD Searl, cominciò a commercializzare l’aspartame, noto dolcificante non calorico, dichiarato sicuro da 90 Paesi. Solo negli anni ’90 il Dipartimento di Salute e Servizi Sociali degli Stati Uniti pubblica un’inquietante lista dei circa 90 effetti collaterali che provoca questa sostanza sull’essere umano.

Negli anni a seguire produce e vende l’ormone della crescita bovina, iniettato nelle mucche da latte per aumentare la produzione. Ultimamente è stato riscontrato un collegamento tra l’assunzione del latte “geneticamente modificato” e il cancro della mammella, del colon e della prostata.

Torniamo ai giorni nostri. La pluri inquisita Monsanto produce attualmente il 40% delle sementi (rigorosamente OGM) utilizzate nelle culture degli Stati Uniti, ad oggi è un impero industriale con sedi 46 paesi ed un fatturato di 7,5 miliardi annui.

L’unica cosa positiva è che la Monsanto in Europa ha gettato la spugna (si spera). Le sementi della multinazionale non saranno più impiantate nei campi europei!
E gli ambientalisti? Si stanno muovendo già da qualche tempo, organizzando in tutto in mondo marce di protesta contro la Monsanto. Queste iniziative sono state proposte dal gruppo Occupy Monsanto dopo il famoso “Monsanto Protection Act” firmato da Obama lo scorso 26 marzo, che permette al Dipartimento dell’Agricoltura di dare il via libera alla vendita indifferenziata di semi OGM.

La prossima marcia di protesta avverrà il 12 ottobre 2013 in tutto il mondo. Save the date! 

Il sito della protesta:March against Monsanto 
La pagina FB: March against Monsanto 

Elisa Zuccari 

sabato 28 settembre 2013

Tania Servidei



Giornalista pubblicista, laureata in Lettere a ‘La Sapienza’ con specializzazione in ‘Letteratura e lingua. Studi italiani ed europei’.
Adoro il mondo della comunicazione e del giornalismo. Mi sono occupata di comunicazione istituzionale e internazionale, dell’Ufficio Stampa in ambito turistico, no profit, teatrale. La mia passione per la scrittura mi ha portato a pubblicazioni e a premi letterari. Sono curiosa, in costante aggiornamento, pronta ad accogliere con entusiasmo e impegno ciò che il mondo del lavoro mi offre.

@TaniaServidei

Scatta Roma Fiction Fest 2013: tra cartoon e episodi inediti

Oggi il via con una giornata dedicata ai più piccoli. Da lunedì le serie più famose.

Non vede crisi il RomaFictionFest. Anche perché l’ingresso è sempre gratuito. Giunta alla VII edizione, la più importante rassegna italiana dedicata alla fiction tv si presenta ricca di appuntamenti, proiezioni e mostre. Ma soprattutto tanti volti nuovi italiani e stranieri pronti a sfilare sul pink carpet dell’Auditorium Parco della Musica di Roma da oggi, sabato 28 settembre a giovedì 3 ottobre.
Novità e qualità sono le parole che caratterizzano l’edizione di quest’anno.
Due le nuove sezioni: una dedicata al web, un laboratorio importante di creatività per giovani talenti; l’altra alle fiction per i ragazzi. Il programma è ricco di contenuti con temi che spaziano dalla rivolta di Jan Palach in Cecoslovacchia, alla legge Merlin, passando per le ramificazioni della criminalità organizzata nella società italiana.

A tutto cartoon
 (in 3D)
Si comincia sabato 28 settembre con una giornata dedicata ai più piccoli. Quando storici cartoni animati come l’Ape Maia e Calimero (in una rinnovata veste in 3D) si alternano con nuove serie della produzione americana come le avvincenti storie di Hulk o le entusiasmanti educative vicende di Dora l’esploratrice.


Spazio alle fiction

Da lunedì 30 settembre spazio alle fiction più famose in Italia e all’estero. C’è “Un posto al sole”, la regina delle serie televisive italiane, che quest’anno festeggia il diciottesimo anno di programmazione. Non mancano le anteprime internazionali come Under the dome, The Americans e Sleepy Hollow e le proiezioni di nuovi episodi di serie cult come Homeland e The Big Bang Theory e di serie web nostrane come The Pills.

Domenica l’inaugurazione


La cerimonia di inaugurazione del Festival ci sarà invece domenica 29 settembre, alla presenza dell’attrice Serena Autieri, volto noto della tv italiana e la madrina di questa edizione. Tra le numerose star della tv nazionale e internazionale ci sono Alessandro Gassman, Stefania Rocca, Rocco Papaleo, Dean Norris, Rachelle Lefèvre.

E due mostre


Oltre alle proiezioni e ai vari appuntamenti, l’Auditorium ospita anche due mostre. Nello Spazio Expo il 29 settembre apre le porte al pubblico “I grandi artigiani della fabbrica dei sogni”. Costumi, parrucche, armature, arredi e gioielli documentano l’opera dei grandi laboratori artigiani italiani. Una sapiente manualità che contribuisce a rendere possibile l'incanto del mondo dello spettacolo.
Nello Spazio Arte, invece, “Ciak si gira in Italia” (a cura di APT e RaiFiction), una mostra che raccoglie gli scatti che mettono in luce il forte legame fra territorio e produzione televisiva e culturale in Italia.
 
Tania Servidei (pubblicato su www.ilsalvagente.it)

"Sci...in acqua!" di Tania Servidei

Reportage fotografico di una performance di sport estremo in Norvegia.
 
 

"Gabbiano, solo." di Tania Servidei

Storia di un gabbiano e del suo desiderio di scoprire il mondo.
 

Sesta di campionato: weekend di calcio con la Roma capolista

Sesta giornata di Serie A al via questo fine settimana. Si parte sabato alle 18 con un “derby del Tirreno” come Genoa-Napoli, per terminare il turno con i due posticipi serali: domenica Roma-Bologna; lunedì Fiorentina-Parma.
Le polemiche sul campionato “spezzatino” trovano, dunque, nuova linfa da una situazione come questa, che vede solo cinque partite su dieci da giocare in contemporanea la domenica pomeriggio. Anche se gli anticipi del sabato di Napoli e Milan sono dovuti agli impegni delle due squadre in Champions League.

Napoli, ancora turn over


Si parte col Napoli che a Genova cercherà il riscatto dopo il pari con la matricola Sassuolo. Come anticipato da Benitez, anche per la sfida di domani (martedì l’impegno con l’Arsenal in Champions), potrebbe far riposare alcuni big. Uno è Marek Hamsik, protagonista di un ottimo inizio di stagione e apparso un pò stanco mercoledì. L’altro potrebbe essere Gonzalo Higuain. Resta da capire chi possa sostituirlo: il nuovo arrivo Zapata è pronto, anche se ancora non ha mai giocato in azzurro.
Per il resto, praticamente certi i rientri di Albiol e Britos con Berhami e Inler davanti la difesa.Torneranno anche Callejon ed Insigne come esterni offensivi.
Nel Genoa, che in casa non ha raccolto più di un pareggio in due partite, mister Liverani va avanti per la sua strada: il 3-5-2. Vrsaljko e Antonini larghi sulle fasce e a centrocampo torna Matuzalem che affiancherà Biondini, preferito a Kucka. In difesa confermato Di Maio per l’infortunato Manfredini.

Le probabili formazioni
Genoa (3-5-2): Perin; Gamberini, Portanova, De Maio; Vrsaliko, Biondini, Lodi, Matuzalem, Antonini; Calaiò, Gilardino
Napoli (4-2-3-1): Reina; Mesto, Britos, Albiol, Armero; Behrami, Inler; Callejon, Hamsik(?), Insigne; Higuain(?)
Arbitro: Damato.

Milan-Samp senza curva


L’altro incontro del sabato (alle 20.45) vedrà il Milan, alle prese con la squalifica di Balotelli, affrontare l’altra genovese, la Sampdoria. Allegri si affiderà ancora una volta all’asse Robinho-Matri con Birsa a supporto. L’attaccante italiano è sotto stretta osservazione, in attesa del suo primo gol in maglia rossonera.

In difesa dovrebbe giocare Constant, a centrocampo Nocerino preferito a Muntari. Nessuna possibilità di turn-over in vista della partita di Champions: il Milan ha gli uomini contati.

Il tutto con il secondo anello della curva sud chiusa ai tifosi per squalifica.

Doriani che si presenterebbero con una unica punta: Gabbiadini, supportato da Sansone e Wszolek schierato a sinistra. L’assenza più pesante è quella di Eder. Ma va menzionato anche lo squalificato Barillà, espulso mercoledì sera e qualche dubbio per capitan Gastaldello.

Probabili formazioni
Milan (4-3-1-2): Abbiati; Abate, Zapata, Mexes, Constant; Poli, De Jong, Nocerino; Birsa, Matri, Robinho

Sampdoria (3-4-2-1): Da Costa; Gastaldello(?), Palombo, Costa; De Silvestri, Obiang, Krsticic, Regini; Wszolek, Sansone; Gabbiadini
Arbitro: Peruzzo.

Toro-Juve, rientra Tevez


In una giornata che non sembra offrire vere e proprie partite di cartello, spicca il derby “della Mole” (n. 137 in serie A) fra Torino e Juventus, che si disputerà domenica alle 12,30. Entrambi le formazioni arrivano in un buono stato di forma e dovrebbero presentare schieramenti speculari: entrambi con il 3-5-2.
I granata dovrebbero presentare in mediana il terzetto titolare con Vives in regia supportato da Brighi ed El Kaddouri, e in avanti il capocannoniere del momento (5 le reti, al momento), l’ex romanista Cerci, forse affiancato dal rientrante Immobile (febbricitante).
I bianconeri, invece, dovrebbero schierare al centro della difesa il trio Barzagli, Bonucci e Chiellini senza il grande ex della giornata, il difensore Ogbonna. In attacco, il rientro di Tevez affiancato dal montenegrino Vucinic.

I match delle 15


Alle 15 altri cinque match: Atalanta-Udinese, con gli orobici che vengono da quattro sconfitte in cinque partite; Catania- Chievo, con gli etnei in silenzio stampa e, con un solo punto, ultimi in classifica insieme al Sassuolo; Verona- Livorno, due delle squadre sorpresa di questo insolito inizio di campionato, quasi appaiate in classifica (sette punti gli scaligeri, otto per i toscani).

Cagliari-Inter, Milito ancora in panchina


Chiude il pomeriggio di calcio, l’insidiosa trasferta dell’Inter a Cagliari: con i milanesi sorprendentemente al secondo posto e con poche novità per quanto riguarda la formazione.
Dovrebbe andare in campo, infatti, quella che potremmo chiamare la “formazione tipo” di questi prime cinque giornate. Nagatomo e Jonathan sulle corsie laterali, Palacio e Alvarez in avanti, con Milito sempre più in palla, ma in panchina, almeno inizialmente.
Per i sardi l’unico dubbio è in attacco con Ibarbo e Sau certi del posto e in ballottaggio Cossu e Pinilla.

Roma-Bologna senza Maicon


In serata, la capolista Roma, in casa, affronterà il Bologna, terz’ultimo con l’Atalanta. I giallorossi, ancora a punteggio pieno, dovranno affrontare le assenze di Maicon, uscito male dalla trasferta di Genova, oltre ai lungodegenti Destro e Breadley. Il modulo dovrebbe essere, per i romanisti, un 4-3-3 con De Rossi, Strootman e Florenzi in mediana, Totti, Ljajic e Borriello come trio d’attacco. Per i felsinei, Laxalt confermato al centro della squadra, con Kone e diamanti ad ispirare Cristaldo, sostituto di Bianchi.

Lunedì Fiorentina-Parma


Per finire, lunedì sempre alle 20,45, la Fiorentina ospiterà il Parma cercando di rifarsi della sconfitta di Milano con l’Inter. Montella potrà contare di nuovo su Pizzarro, assente in queste ultime due gare, ma dovrà fare a meno di Gomez e Cuadraro.
Pierpaolo Chirico

Chiara Florido

Ciao, mi chiamo Chiara detta “ la piccola” per distinguermi  dalle altre Chiare. Ho 29 anni e sono laureata in Scienze delle Religioni all’ Università  di Roma Tre.  Amo leggere e stare in mezzo ai libri, mi appassiona l’arte, lo sport, la psicologia, la religione, il decoupage…sono una persona curiosa, mi piace sperimentare cose nuove e mettermi alla prova. Ammetto di avere una certa difficoltà con la tecnologia, per fortuna c’è Mirko a darmi ripetizioni con il suo fantastico computer.


Sogno nel cassetto: avere un cassetto.  

Pierpaolo Chirico

Mi chiamo Pierpaolo, vivo a Roma da sempre. Laureato in Lettere e non solo. Nella mia vita ho fatto mille lavori e di mille nature...ma la mia vera passione è sempre stata la storia, sia quella con la S maiuscola che quella di ogni singola persona che sa rendere la sua vita qualcosa con cui rendere piacevole la propria compagnia...

La Genesi secondo Sebastião Salgado

La radice della parola genesi significa “nascita” e racchiude in sé il significato più profondo di “origine”, il principio primo da cui derivano tutte le cose. Genesi è il titolo della mostra fotografica di Sebastião Salgado, uno dei più importanti artisti/documentaristi del nostro tempo.
Lélia Wanick Salgado, moglie del fotografo e curatrice della mostra, spiega il senso di questo progetto, una “ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. E’ un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo”.
Questo viaggio inizia nel 2003 con la prima di 32 spedizioni che Salgado pianifica in ogni parte del pianeta, dalle foreste dell’Amazzonia ai deserti dell’Africa, dalle pianure della Russia ai ghiacciai dell’Antartide. Sono poco più di 200 gli scatti, selezionati tra i 10000 realizzati, esposti contemporaneamente nelle principali metropoli mondiali - Londra, Roma, Toronto e Rio de Janeiro – per mostrare al maggior numero possibile di persone gli angoli della Terra rimasti allo stato primordiale, sopravvissuti agli effetti devastanti del progresso tecnologico, la cui esistenza diventa oggi una questione di vitale importanza per il futuro di tutte le specie viventi.
Il risultato di questo lungo e faticoso lavoro è la visione di un nuovo mondo, suddiviso in cinque parti: il Pianeta sud, i Santuari della Natura, le Terre del Nord, l’Africa e l’Amazzonia e il Pantanal.
L’atteggiamento “scientifico” percepito dal visitatore nell’organizzazione del materiale fotografico è solo apparente. Salgado non è uno scienziato, tanto meno un antropologo. Il suo approccio allo spettacolo della natura è quello del curioso e dell’artista. Attraverso l’uso di particolari punti di vista e angolazioni, l’attenzione ad alcuni dettagli, la scelta di realizzare gli scatti in bianco e nero, il fotografo non si limita ad esaltare la bellezza del creato: egli “strappa”i paesaggi, gli animali, gli uomini dalla realtà per ricollocarli in una dimensione atemporale, li trasforma in segni e simboli di un linguaggio universale, li trasforma in monumenti della Natura.
In ogni immagine terra, aria, acqua, l’uomo, interagiscono e si completano a vicenda come elementi di un’opera d’arte, creando forme armoniche e inaspettate. Gli iceberg nel mare di Weddell (penisola Antartica) sono roccaforti in mezzo all’acqua, i Canyon visti dall’alto diventano città di roccia, le vette delle montagne del Sudamerica e i crateri dei vulcani della penisola della Kamchatka, si stagliano nel cielo come cattedrali gotiche. In alcuni scatti il contrasto tra il bianco e il nero è così forte da sembrare delle serigrafie (la veduta della valle di Bighorn Creek), in altri le linee sono così sottili e delicate da ricordare le stampe orientali (rami sui quali riposano i pipistrelli della frutta in Madagascar).
Dai ritratti delle specie viventi, emerge tutta la forza dell’equilibrio tra l’uomo, l’animale e l’ambiente, la necessaria interdipendenza tra le parti. Tanto distante da fotografare intere colonie di pinguini sulle distese ghiacciate dell’Antartico, tanto vicino da poter riflettere la propria immagine nell’occhio di un gigantesco leone marino, Salgado si sofferma per la prima volta sul mondo animale, mostrando al pubblico le specie più rare (giaguaro, procellaria gigante, bue muschiato etc.), alcune a rischio di estinzione (balena australe e babbuino gelada).
Preziose e suggestive sono le immagini delle popolazioni indigene che mantengono incontaminate le loro tradizioni e abitudini: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana, i Pigmei delle foreste equatoriali del Congo settentrionale, i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica, le tribù Himba del deserto namibico, le tribù delle più remote foreste della Nuova Guinea. Uomini, donne, bambini, intere tribù, completamente immersi nella Natura, unica fonte di sostentamento e garanzia di sopravvivenza.
Genesi è un grande reportage antropologico globale, un invito a riflettere su cosa è rimasto del legame ancestrale dell’uomo con il suo ambiente e allo stesso tempo un monito a proteggere l’unica vera ricchezza in grado di assicurare la continuità della vita, il nostro pianeta.

venerdì 27 settembre 2013

Ritratto di donna, tra il Pci, la famiglia e una gatta

Non è mai facile parlare di se stesse. E non è facile riuscire a tenere d’occhio tutto quello che accade intorno. E’ come avere due occhi puntati sul mondo e altri due, fissi, sulla propria anima. Monica Granchi, con il suo racconto “Mio nonno era comunista” (Edizioni Effigi, 2013, pagg. 135, 10 euro) ci riesce alla perfezione. Con la sensibilità di chi nella vita si è persa e ritrovata, offre a chi legge queste pagine un ritratto di donna e al tempo stesso di una famiglia, di una società e, perché no, di una classe e di un periodo storico.
Siamo nella Toscana che più rossa non si può (come ci ricorda anche la copertina disegnata da Staino), a Siena, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, con lucide incursioni in un presente senza bussola. Il periodo storico giusto per raccontare il momento di massimo splendore del Pci, la passione della politica e del far politica, le feste dell’Unità, la sezione, il “rigore” e la militanza delle compagne e dei compagni come il nonno materno, figura chiave nell’educazione di una bambina che diventa donna.
Donna tra le donne, tante, e di più generazioni, della famiglia allargata nella quale l’autrice ha vissuto. Presenze importanti, talvolta discrete e delicate, altre volte amorevolmente rivali, che possono condizionare la vita. Come la giovane zia, coetanea, praticamente una sorella. Una confusione di ruoli, di emozioni e sentimenti troppo spesso repressi.
Ma tanto è facile avere una vita piena, di gente, di cose da fare, di passioni, altrettanto è facile sentirla svuotata. Perdere il nonno comunista e gli altri punti di riferimento (ideologici e non), restare senza un lavoro e poi, fare a pezzi il proprio corpo, nel tentativo di farlo scomparire (con l’anoressia, per esempio) o di sottrarlo alle attenzioni del prossimo. «Se ci riuscite, state lontani e basta. La mia vita è così. Vivo in mezzo agli altri, isolata da un’aura che richiama attenzione e respinge il contatto».
Ma se una donna innamorata della sua gatta e straziata dalla sua morte, così legata alla sua storia da metterla in discussione, non ci permette di avvicinare il suo corpo, offre al mondo qualcosa di più prezioso: la sua anima. E consente di toccarla, fino a esserne travolte.
(Raffaella Angelino, pubblicato su giulia.globalist.it)

L'isola che non c'era

Mi presento, mi chiamano “Il Settimo Continente”, “Great Pacific Garbage Patch” per gli amici.
Galleggio nell’Oceano Pacifico, in particolare tra le Hawaii e la California, e sono nata a causa del gioco delle correnti e dalla potenza del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Le mie dimensioni sono avvolte nella leggenda: qualcuno parla di una superficie come quella del Texas (due volte l’Italia), altri mi descrivono grande come l’India. Qualcuno di voi si chiederà: e la profondità? Tra i 30 e i 40 metri.
Niente male, vero?Sono un’isola di plastica e rifiuti di vario genere ignorata dai più, nascosta e non individuabile neanche da Google Heart.
Di buono c’è che finalmente Patrick Deixonne, membro della Società degli Esploratori Francesi, ha deciso di iniziare una spedizione per tracciare una mappa precisa e per sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso più grave di inquinamento marittimo degli ultimi 50 anni. Ma indovinate un po’? Tutti continuano a non saperne nulla, forse sono poco importante, ma si stima che nel 2050 triplicherò le mie dimensioni e vorrei ricordavi che già alla data odierna sono la discarica più grande del mondo!
Non c’è da stupirsi dell’aumento esponenziale del mio volume, in base ai dati della Fao ogni anno finiscono negli oceani 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti, dei quali circa il 90% sono materie plastiche.
Il problema è noto quindi anche alle Nazioni Unite che hanno sentenziato di recente “ci sono 46 mila oggetti di plastica per ogni miglio quadrato di oceano”, quasi con orgoglio.
Ah dimenticavo, mi chiamano anche “zuppa di plastica”, nome coniato dall’oceanografo americano Charles Moore, il primo che casualmente mi avvistò nel lontano 1997. Una delle mie peculiarità, infatti, è quella di addensarmi e trasformarmi in pezzetti che negli anni diventano sempre più piccoli, coriandoli di plastica che vengono scambiati per cibo da cetacei, uccelli, pesci, tartarughe e provocando così gravi squilibri dell’ecosistema e trappole mortali per gli abitanti dell’Oceano.
Il problema in superficie è alquanto allarmante, ma niente in confronto a ciò che accade nei fondali marini sui quali si deposita circa l’85% dei rifiuti!
Il restante 15%? Da poco ho scoperto di avere altre due sorelle: un’altra isola nel Pacifico Orientale e addirittura una nell’Oceano Atlantico, entrambe di pari dimensioni.
L’allarme dovrebbe essere quindi globale, non credete? Quello che so, per il momento, è che nessun ente privato o pubblico si sta occupando della cosa, la motivazione principale è che sono posta in un lembo di oceano poco frequentato da grandi imbarcazioni o pescherecci, in parole povere sono invisibile.
Il rischio, oltre che per le specie marine, è altissimo anche per il genere umano. Perché? Basti pensare che sostanze come DDT e PCB (policlorobifenili) ingerite da pesci ed affini entrano facilmente nella catena alimentare e da qui raggiungono l’uomo.
Il risultato? Una mela avvelenata da tramandare alle prossime generazioni.
Nella società dell’usa e getta, c’è sempre spazio per la rivoluzione: Ricicla, Riutilizza e PASSAPAROLA!

Il sito della spedizione: Il Settimo Continente
La pagina FB dell' Ocean Scientific Logistic

Elisa Zuccari









Con i miei occhi al Rad1 nazionale di Improvvisazione teatrale amatori Tolfa, luglio 2013


Inno al gatto- Carlotta Servidei (musica dei Sigur Rós "Hoppípolla" )


giovedì 26 settembre 2013

Elisa Zuccari

Hola sono Elisa, 28 anni, aspirante grafica pubblicitaria con una laurea in psicologia. Di regola mi definisco(no) la dissidente, mi piace puntualizzare e non lascio niente al caso.
Abito in un piccolo paesino della Valle dell’Aniene e mi interesso di ambiente e politica a livello comunale.
Tutta la mia “giovane” vita è stata accompagnata da un’immensa passione per gli amici a quattro zampe e un grande sogno, come solo un grande amore può concepirlo…un rifugio per animali randagi! Le difficoltà, ahimè, sono sempre dietro l’angolo, ma la tenacia e la pazienza sono due mie ottime armi!
Autoironia e sarcasmo fanno di me una persona capace di ambientarsi facilmente.
Un difetto? Accumulatrice (accumulatora? :-) ) seriale di impegni, lavoretti e..compiti a casa! ;-P :-)

mercoledì 25 settembre 2013

Trentuno anni fa, la strage di Sabra e Shatila

«Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore». Così inizia la cronaca del massacro dei palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, in Libano che si è consumato nel settembre di 31 anni fa. Il giornalista Robert Fisk fu tra i primi ad entrare nel campo di Shatila alle porte di Beirut il 18 settembre e lo spettacolo che si trovò davanti fu atroce. Era stato uno sterminio di massa, un’atrocità, un crimine di guerra.
Le madri di Sabra e Shatila, sopravvissute alla strage
C’erano donne che giacevano nelle loro case, violentate prima di essere assasinate, bambini con le gole tagliate, file di giovani uomini fucilati dopo essere stati messi al muro per l’esecuzione. C’erano bambini gettati insieme ai mucchi di spazzatura, alle razioni militari lasciate dagli americani, equipaggiamenti israeliani e bottiglie di whisky.
Sono passati 31 anni dal massacro consumato impunemente a Sabra e Shatila tra enormi responsabilità militari e complicità politiche. L’operazione iniziò al tramonto di giovedì 16 settembre e terminò nel primo pomeriggio di sabato 18 settembre. L’esercito israeliano aveva circondato e chiuso ermeticamente i due campi e messo posti di osservazione sui tetti degli edifici dell’area, successivamente trasformata in un’isola violata dalle milizie «falangiste» libanesi che volevano vendicare l’assassinio, avvenuto due giorni prima, del loro leader, Bashir Gemayel. Il numero dei morti non fu mai esattamente accertato, ma si stima intorno ai tremila.
Dal 1982, il dramma è ancora vivo nei sopravvissuti, come quelle donne che ogni anno marciano silenziosamente nei vicoli di Shatila per ricordare i loro cari stringendo vecchie foto tra le mani.
Oggi, l’affollato campo profughi palestinese alle porte di Beirut, polvere su polvere, mattone dopo mattone, filo elettrico su filo elettrico vive in una dignitosa disperazione. Tra quei muri, o quello che ne resta, si respira ancora la guerra e il dolore di quel maledetto settembre dell’82. Un sacrario, voluto fortemente dallo scomparso giornalista del "Manifesto", Stefano Chiarini e dal Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila serba il ricordo delle vittime di una violenza cieca e vigliacca contro i palestinesi, costretti a vivere come profughi, senza casa né diritti, in Libano e in tutto il Medioriente. Uomini e donne, bambini e bambine che non hanno mai messo piede nella loro terra, l’amata Palestina.
In Libano, l'Unrwa (United nations relief and works agency for Palestine refugees) stima che siano 455mila, sparsi in 12 campi profughi, una cifra che rappresenta circa il 10 per cento della popolazione libanese. Una massa di persone che vive ai margini: nei campi, il tasso di disoccupazione supera abbondantemente il 50%. La precarietà accende gli animi e per quanto la maggioranza dei palestinesi si tenga lontana dai conflitti interni al Libano, i campi profughi si ritrovano spesso al centro delle diatribe politiche.
In sostanza, la presenza dei profughi in Libano rimane uno dei nodi più importanti in qualsiasi futura trattativa, sia con gli israeliani, sia con i libanesi. Questioni centrali: il diritto al ritorno e, allo stesso tempo, la necessità di garantire ai rifugiati palestinesi una vita dignitosa in Libano, senza discriminazioni.
(Raffaella Angelino)

venerdì 20 settembre 2013

Carlotta Servidei

Carlotta,
sono esperta in tecniche di scrittura creativa e editing.
Ho la malattia della scrittura fin dall'età di dieci anni e non credo ormai di guarire più.
Sono tendenzialmente una solitaria e scrivo senza fare troppo rumore, a quello ci pensano le parole.
Pubblicazioni e premiazioni a concorsi letterari alle spalle, guardo al futuro nella speranza che la mia passione per lo scrivere possa trasformarsi in un lavoro.

lunedì 16 settembre 2013

Federica Fiorilli

Sono Federica, ho quasi trent'anni e tanti punti interrogativi intorno a me! Ho studiato Letteratura musica e spettacolo all'università La Sapienza di Roma e sono una delle molte disoccupate italiane...nonostante la fierezza di essere riuscita a districarmi nell'immensa giungla accademica.
Finora ho svolto diversi lavori, dai quali ho sempre imparato tanto ma quello che davvero mi ha riempito la vita e mi ha fatto crescere è stato lavorare per molti anni in un’associazione no profit per la non-violenza e partecipare alla vita politica della mia cittadina, in provincia di Roma.
Credo fermamente che il viaggio sia la porta per la conoscenza del mondo, degli altri e di noi stessi, per questo motivo amo viaggiare, incontrare persone e convivere con loro nei luoghi che di volta in volta incrocio sulla mia strada.

Tra le tante cose che devo ancora scoprire c’è l’universo dei social media, al quale però mi sto avvicinando ultimamente, perché non è mai troppo tardi, giusto?

domenica 15 settembre 2013

Dichiarazione d'amore per L'Aquila

Tanti tanti anni fa un mio capo scout mi disse che quando sei innamorato lo capisci subito perché non vedi l'ora di rivedere l'oggetto del tuo desiderio e quando ce l'hai accanto stai bene e nemmeno un temporale potrebbe scalfire il tuo buonumore.
Io L'Aquila la conosco da sempre. E ne sono innamorata. Prima che nascessi, i miei nonni partivano felici verso Campotosto, ospiti degli amici di sempre e così è stato per anni e anni. Il Lago di Campotosto e la grande casa bianca che ancora primeggia, hanno fatto parte delle mie estati da sempre e L'Aquila era il premio ambito. La passeggiata al centro della città era un evento, lo aspettavo sempre.
Vicino casa
Poi si cresce, si cerca di fuggire dalla famiglia e dalle sue abitudini, finché un amore più grande di ogni possibile comprensione non ha legato i miei genitori ad una casa nella splendida Piana di Navelli, dove zafferano e mandorli imperano solennemente colorati. Per noi che non siamo parenti di nessuno lì, per noi che siamo semplicemente innamorati da quarant'anni. Sempre Abruzzo, sempre L'Aquila. E' un filo che non si è mai spezzato, è un amore, una passione.

E' la gioia di vedere L'Aquila la colta e la ricca, la serenità di non sentire rumori di città, la gioia di respirare aria degna di questo nome. Io lo chiamo Paradiso, perché sono certa che il Paradiso, Dio, lo ha immaginato proprio così, copiandolo un giorno che, stanco di cercare, si sedette sul Corno Grande. Il verde dei prati, ogni tanto una chiesetta sul Tratturo, e maestosa la Grande Madre, il Massiccio del Gran Sasso a farti vedere e capire che la maestosità.... oh sì che esiste la maestosità! Si lega a noi con un laccio invisibile, un amore e un rispetto che ha fatto sì che anche mio fratello e la sua sposa decidessero di sposarsi lì, a Bominaco, nello splendido scenario di Santa Maria Assunta. Un pullman di invitati e la sposa sono arrivati dall'Appio Latino per la grande festa!
Nel 2009 io ero capo clan agli scout, quello che è il capo dei ragazzi più grandi, dai 17 ai 20 anni circa. Per Pasqua avevamo idea di andare a L'Aquila, approfittare della mia casa come appoggio e dedicarci a noi, al nostro percorso. Per una disgraziata mancanza di collegamento ferroviario la scelta è poi ricaduta su un luogo più vicino a Roma. Il 7 aprile 2009 alle 8 del mattino accendo il cellulare, per controllare che tutto fosse a posto e senza allarmi. Non so quante chiamate io abbia trovato. Gli sms erano 14.

Dove siete? Cosa è successo? Perché non hai il cellulare acceso? Chiamando a casa le parole di mia madre mi hanno messa in un grande lenzuolo felpato, avvolta dal quale una volta arrivata a Termini ho salutato i ragazzi e sono tornata a casa. Aprendo la porta, le immagini. Sangue, dolore, polvere, delirio, e io che non sentivo nulla. Nessuna emozione. Ero in pausa dalle emozioni. E casa? Come starà casa? Come staranno i vicini? E abbiamo davvero perso il Paradiso? Il coraggio di alzare il telefono non l'abbiamo avuto. Se non cinque giorni dopo. Giorni in cui non potevamo pensare ad altro se non a casa, a loro, ad ogni volto, ad ogni voce.
Un disastro. Chi era riuscito a rispondere al cellulare ci diceva che intorno era un disastro, che casa nostra era su, ma vai a sapere se dentro i pavimenti c'erano ancora!
Siamo riusciti a raggiungere casa, documenti alla mano, solo il 17 aprile. Con la pena e il magone nel cuore. Sull'autostrada noi e gli aiuti. Militari, Vigili del fuoco, ambulanze. E un grande buco nel cuore, nell'anima.

A L'Aquila est c'era il caos, le tende blu, le persone in strada, le tende private rimediate e montate. Ho avuto la sensazione che quello stesso Dio che me l'aveva fatta amare dalla nascita, che mi aveva regalato il Gran Sasso, il profumo della pioggia, il colore dei mille cieli, avesse appoggiato una mano, pesantemente. E dove le dita avevano affondato la materia, le case erano sbriciolate come un biscotto secco a terra calpestato. Accanto, tra un dito a l'altro, case in piedi,coi panni stessi. Per mesi e anni quei panni sono rimasti lì, stesi. L'Eurospin di Bazzano dev'essere stato sotto il pollice.....era andato giù tutto. E Onna, sulla destra. Paganica, San Gregorio a sinistra. Chissà perché si parla ancora solo di Onna, legittimo, per carità, ma poco o niente di San Gregorio, San Demetrio, Santo Stefano di Sessanio e la sua splendida torre medicea ora in briciole, Caporciano, Capestrano, Civita Retenga, Prata d'Ansidonia.

C'è un dolore che ancora accomuna tutte le vittime di questo terremoto. Se gli chiedi come va ti rispondono E come vuoi che vada? Nelle conversazioni, anche le più spensierate, c'è sempre, sempre, un “prima” e un “dopo”.
Il terremoto ha diviso l'esistenza di ognuno. Abbiamo visto gente ridere e promettere, abbiamo visto politici speculare, abbiamo visto inchieste accertare odorini di mafia nella ricostruzione. Sin dall'inizio abbiamo tutti sperato che non venisse strumentalizzata la tragedia, ma già dai giorni del G8 s'era capito che la battaglia era persa. Puoi portare capi di Stato in tour tra le macerie? Puoi permettere che tutti quegli occhi violino il dolore incomprensibile e impensabile di chi ha subito un simile trauma? Cosa ne è stato dello Stato? Per anni sono stata presa per esagerata. A Roma, 100 km più giù, l'informazione dava per certa e in atto la ricostruzione. Io portavo voci di nulla ed eco di pianto.

Non ho fatto foto, non ho mai fatto foto.Per paura che mi scambiassero per chi ancora di domenica viene a farsi le foto davanti alle case diroccate. Ma ho raccontato alla mia cerchia di amici, cercando di far capire che il dolore, lì, è rimasto. Che chi dice “Sono del sud, aspettano che li si aiuti, non si muovono loro” deve essere considerato un demente senza possibilità di essere preso sul serio. Ora, uscite a l'Aquila ovest e andate verso il centro, vi renderete conto che quella città meravigliosa ha ancora gli occhi spaventati e sbarrati.

L'Aquila è una donna profumata ed elegante ora a terra per le tante percosse subite e le ingiurie ricevute dopo. Gli Aquilani e chi è nei dintorni amano ogni grammo della propria terra e stanno rinascendo, nonostante tutto e tutti.

Il profondo rispetto per L'Aquila nasce dall'amore che ho per lei da sempre. Rispetto il suo dolore, rispetto il suo volersi ribellare. Io non vedo cambiamenti. Sento di persone vittime della depressione, di odi, di polveri. Vado in giro per le stradine dei paesi che amo e vedo puntellamenti, prefabbricati, occhi smarriti.
L'Aquila sta tornando a camminare piano piano, ma per favore, siate seriamente consapevoli dell'immensa paura, del profondo dolore, dell'impensabile tragedia.

Dio negli ultimi due anni ha mandato giù tanta neve, perché si vergognava di ciò che non è stato fatto e ha voluto coprire l'onta delle macerie per un po'. Poi i fiori lilla dell'oro prezioso dello zafferano, i mandorli in fiore, il profumo ti rimette al mondo nell'istante del respiro e prendi coraggio ogni giorno, rialzi lo sguardo e dici che forse questo sarà l'anno giusto... in cui i sorrisi torneranno, le macerie saranno portate via e i negozi riapriranno e io, finalmente, potrò tornare alla cioccolateria di Via Navelli, in quella che ancora è l'inaccessibile zona rossa del centro.
Auguratemelo!
Laura Mauti
 Scrivere 'andare a L'Aquila' è una scelta stilistica